Ho trattato lo stesso argomento in un video che potete trovare qui.
Ad apertura di questa rubrica mi sembra appropriato introdurre l’argomento con André Bazin, considerato tra i massimi critici cinematografici del secondo dopoguerra, fondatore nel 1951, con Jacques Doniol-Valcroze e Jean-Marie Lo Duca, dei Cahiers du cinéma, rivista in cui si formarono i principali registi della Nouvelle Vague, tra cui François Truffaut, Jean-Luc Godard, Eric Rohmere, Jacques Rivette, ecc.
Bazin fu tra i primi grandi critici a sostenere lo studio serio ed accademico dell’arte cinematografica. Pensava infatti che il cinema, così come il singolo film, dovesse essere interpretato sia come un fatto estetico, che come un fatto antropologico, sociale, economico e politico.
Fu inoltre tra i primi a riflettere in maniera sistematica sull’arte del cinema, e ad elaborare concetti e definizioni che cercassero di delineare quelle che fossero le specificità proprie del mezzo cinematografico.
Molti dei suoi saggi sono stati pubblicati in Francia tra il 1958 e il 1962 in quattro volumi, poi tradotti parzialmente in Italia nel ’73, che prendono il nome proprio di Che cosa è il cinema?
Il critico in uno di questi saggi mette in rapporto le arti plastiche, come la scultura, o il cinema stesso, alla pratica della mummificazione egiziana. Come in Egitto infatti i corpi venivano mummificati per preservare questi dal disfacimento totale e salvarli così dal flusso del tempo, così le arti plastiche scolpiscono una realtà in continuo movimento con lo scopo che questa non si consegni alla sua naturale morte, al suo oblio.
È questa, secondo Bazin, la sottesa necessità che contraddistingue la storia delle arti plastiche: quella non solo di far sopravvivere l’uomo, ma più in generale, come scrive egli, quella «della creazione di un universo ideale a immagine del reale e dotato di un destino temporale autonomo».
Le arti plastiche puntano alla rassomiglianza, al realismo. Nell’antichità due erano le principali aspirazioni dell’arte: quella estetica legata alla raffigurazione delle realtà spirituali attraverso l’uso di simbolismi utili a trascendere le forme, e dall’altra quella legata al desiderio di replicare il reale e di rimpiazzarlo col suo doppio. In questo secondo caso abbiamo una vera e propria ossessione per la realtà, la quale accrescerà nel XV secolo con la nascita della prospettiva.
Secondo Bazin la fotografia e il cinema rappresentano l’apice di questa ossessione, il punto di arrivo di una moltitudine di ricerche e tentativi per riprodurre il reale. La nascita della fotografia mette in crisi la pittura; difatti un dipinto non potrà mai essere una fedele e completa riproduzione del visibile, dal momento che tra la realtà e il quadro agisce la mano del pittore, dunque la sua soggettiva creatività. Anche la fotografia è influenzata dalla soggettività del fotografo, tuttavia essa, per mezzo delle sue qualità chimico meccaniche, è capace di riprodurre la realtà, usando le parole di Bazin, nella sua «oggettività essenziale […] secondo un determinismo rigoroso».
Se la fotografia tuttavia si accontenta di conservare l’oggetto immortalato avvolto nel suo istante, il cinema appare come il compimento dell’oggettività fotografica nel tempo. Il cinema è infatti prima di tutto, come sappiamo, immagine in movimento. Scrive infatti Bazin in uno dei suoi saggi: «Ma solo il cinema poteva risolvere radicalmente il problema, far passare le approssimazioni grossolane dal discontinuo al realismo temporale della visione continua: far finalmente vedere la durata stessa».
Il cinema dunque si serve del realismo fotografico e al contempo lo rende più efficace perché dà allo spazio il movimento concesso dal tempo. Secondo Bazin dunque l’invenzione del cinema non rappresenta nient’altro che il compimento storico della ricerca di un realismo integrale, di una «ricreazione del mondo». Ecco perché ogni invenzione tecnica, dal sonoro al colore, non è vista da Bazin come un attacco alla purezza del mezzo, alla bellezza delle sue origini: perché ogni invenzione non fa che portare il cinema sempre più verso una efficace riproduzione del reale.
Ora, secondo Bazin dunque la specificità ontologica del mezzo-cinema risiede nella sua riproduttività ottico-meccanico-chimica. Inoltre come abbiamo già detto egli considera il cinema un fatto estetico. Il realismo dell’immagine cinematografica infatti per Bazin è prima di tutto una questione di linguaggio cinematografico. Per questo motivo egli fu un grande sostenitore di procedimenti stilistici quali il piano sequenza e la profondità di campo, adottati in particolar modo da registi quali William Wyler e Orson Welles: l’assenza di montaggio e il fuoco aperto su tutta l’inquadratura danno al cinema, secondo il critico francese, una maggiora aderenza al fluire concreto della realtà.
Bazin distingueva due categorie di registi, quelli che “credono nella realtà” e quelli che “credono nell’immagine”. Secondo lui tra i primi vi si trovavano quelli che andavano contro le forme tradizionali del linguaggio cinematografico per cogliere della realtà il “fatto”, ovvero, come scrisse egli stesso, il «frammento di realtà bruta, in sé stesso multiplo ed equivoco». Tra i registi che credono nella realtà Bazin aveva particolarmente a cuore i neorealisti italiani tra cui Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Difatti secondo lui il neorealismo fu il primo movimento a dichiarare una scomparsa radicale dell’attore, della storia e della messa in scena così come li avevamo sempre conosciuti, arrivando «all’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema».
Il «frammento di realtà, in sé stesso multiplo ed equivoco». Bazin ci sta chiaramente dicendo che la realtà è ambigua, e che in essa non risiede un senso, bensì tante, infinite interpretazioni. Come afferma Giorgio De Vincenti nel suo Lo stile moderno. Alla radice del contemporaneo: cinema, video, rete, Bazin non ci vuole dire che il cinema sia la REALTA’. Quando infatti il critico francese si riferisce al neorealismo scrive che esso abbia raggiunto «l’illusione estetica perfetta della realtà»: una “illusione”, appunto. Questa illusione perfetta della realtà come già detto è dovuta alla capacità riproduttiva del cinema, che ci permette di assistere alla realtà e di interrogarci sul suo essere, sul suo apparire, dunque sulla sua ambiguità.
Come scrive De Vincenti questa interrogazione sulla realtà non può che rivolgersi anche al cinema stesso, dal momento che è grazie a questo è IN esso, che la realtà si dispiega. Ma qui forse stiamo andando oltre.
Bisogna infatti chiarire una cosa: anche se il cinema è riproduzione, non tutto il cinema è capace di rivolgere questi interrogativi agli spettatori. Come già detto infatti il realismo è una questione di linguaggio, e solo alcuni registi riescono ad utilizzarlo ai fini di una maggiore aderenza e messa in discussione tra cinema e realtà.
André Bazin è stato spesso accusato di idealismo: credere che il cinema presenti una copia tale e uguale della realtà è ingenuo e non tiene conto che il cinema è in verità un linguaggio a sé stante. Tuttavia, anche se alcune idee parrebbero superate, Bazin è consapevole dell’illusione riproduttiva del cinema: come già detto egli crede che il realismo sia una questione di stile, dunque di linguaggio.
Ma vi sono ancora troppi quesiti: cosa si intende per realismo? Il cinema quale realtà riproduce? La mia, la vostra, quella di un daltonico, di un folle, di uno schizofrenico? Cosa si intende per realtà? Le domande rimangono aperte, e continueranno a tornare nei capitoli successivi.