Breve e caotica storia dell’arte visuale

La fotografia, ed il cinema dopo, sono pratiche che nel tempo hanno assunto diverse modalità di produzione, utilizzo e ricezione. L’arte, in ogni periodo storico, poggia le sue basi su canoni estetici e concettuali che ne condizionano l’utilizzo e la percezione che di essa ne hanno artisti e fruitori. I canoni, a loro volta, variano il loro complesso apparato di norme e leggi a seconda del sistema di pensiero vigente in un determinato contesto storico e sociale. Fotografia e cinema poi, coniugandosi così strettamente alla scienza e alla tecnologia, dipendono anche da tutte quelle rivoluzioni industriali che immettono nel mercato nuove macchine, o stravolgono quelle già esistenti, creando o amplificando le loro possibilità espressive. 

Di seguito una breve e caotica cronologia storica che ha lo scopo di elencare i periodi di maggior importanza per l’evoluzione dell’arte visuale: dalla fotografia al cinema, dal cinema al cinema “espanso” della video-arte, dell’intermedialità e del World Wide Web 

1848: sono passati dieci anni dall’invenzione di Louis Daguerre e la fotografia è già utilizzata da chiunque se ne interessi per motivi professionali, artistici e politici. È questo l’anno di accesi sconvolgimenti politici italiani – le ribellioni che partirono da Palermo, che infuocarono il resto della penisola, e che portarono alla proclamazione dello Statuto albertino – ed europei. Diversi fotografi intuiscono la potenza riproduttiva del loro mezzo e si preoccupano di registrare gli avvenimenti in corso. Fu un periodo colmo di rivoluzioni sociali e politiche – fu pubblicato il Manifesto del partito comunista -, ma anche artistiche: Wagner riformulava il concetto di composizione ed orchestra con la sua musica.  

Veduta di Parigi. Foto di Louis Daguerre

Leggi anche un breve approfondimento filosofico sulla fotografia: https://sentieridombra.it/2021/12/24/qual-e-la-realta-della-fotografia-e-del-cinema/

1871: è questo l’anno della Comune di Parigi, un governo cittadino guidato da ideali proudhoniani e comunisti che insorse contro le spinte monarchiche di Thiers. Nadar, pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon, fotografo che si rese celebre grazie ai ritratti di eminenti personalità del mondo dell’arte, appoggiò la causa rivoluzionaria della sua città scattando fotografie aeree per mezzo di un aerostato, e rendendo così note le linee di posizione dei prussiani. Nadar fu il primo ad avere la geniale idea di fotografare ad alta quota, e rese tale invenzione utile agli ideali rivoluzionari che imperversavano in quel periodo.  

Un’illustrazione che raffigura Nadar

1900-18: è questo il cosiddetto periodo “archeologico” del cinema, quello in cui si sperimentano le principali tecniche espressive e narrative che andranno a consolidarsi nel tempo: Griffith mette a punto il montaggio analitico, quello che porrà le basi del cinema classico così come ancora lo intendiamo. La prima guerra mondiale interromperà per anni le ricerche e le produzioni, le quali riprenderanno nel ’18 con grande vantaggio del mercato statunitense.  

1920-30: sono gli anni delle avanguardie storiche: dadaisti, surrealisti, futuristi e comunisti sovietici rivoluzionano le tecniche espressive proprie del cinema e pongono allo sguardo nuove modalità di percepire la realtà ed il cinema. Obiettivo dell’avanguardia è, usando le parole di Mario Verdone nel suo Le avanguardie storiche del cinema (Società editrice internazionale, 1977), «cercare. Guardare avanti. Procedere, stimolare e tentare. Contrapporre il vecchio al nuovo, il passato al futuro. Scegliere le vie inconsuete, e magari sotterranee, ma non quelle ufficiali. Privilegiare la trasgressione al posto della legalità, preferire il confuso all’ordinato, ma, come dice Walter Benjamin, per descrivere la confusione, e non per descrivere confusamente». Le avanguardie storiche rispettano tali parametri d’azione e danno vita a sinfonie visive che innalzano l’occhio cinematografico al livello della poesia.  

Ballet mécanique, film sperimentale anni ’20 di Fernand Léger

Nel frattempo le ricerche per il cinema sonoro interessano sempre di più le grandi case hollywoodiane, le quali con la loro potenza finanziaria e mediatica precedono e si impossessano degli studi intrapresi da personalità che sperimentavano da anni le tecnologie del sonoro – tra cui Charlie Chaplin – e danno vita nel ’26 al loro Vitaphone. Solo nel ’27 tuttavia le parole diverranno parte integrante del processo sonoro filmico. Molti furono i registi e i critici che videro nel sonoro una semplice trovata industriale che avrebbe denaturato, nonché ucciso, le scoperte estetiche, formali e narrative raggiunte con il cinema silenzioso (si preferisce questa parola alla denigratoria più in voga di “muto”, perché al cinema non mancò mai il suono, né la parola, come afferma, tra i tanti studiosi, Michel Chion). Lo stesso Rudolf Arnheim, esponente di spicco della scuola di Francoforte, disse: «Quelli che non capivano niente dell’arte cinematografica parlavano del silenzio come di una delle sue deficienze più gravi; e sono quegli stessi che considerano oggi l’introduzione del sonoro come un miglioramento o un completamento del film muto. Il che è altrettanto assurdo come sostenere che l’invenzione della pittura a olio tridimensionale rappresenterebbe un progresso sui principi della pittura noti sinora». Al filosofo bisognerebbe dargli ragione se non vi fossero stati tuttavia artisti che con le loro teorie cercarono di dare nuova linfa all’esperienza visiva attraverso un sapiente intreccio, una ragionata interazione, tra suono ed immagine: Sergej M. Ejzenštejn propose un uso contrappuntistico del sonoro basato sui principi della dialettica hegeliana di tesi/antitesi/sintesi. André Bazin, il teorico della teoria del realismo integrale cinematografico, vide invece nel sonoro una tecnica per sviluppare con rinnovata potenza le peculiarità insite del mezzo.  

Per approfondire André Bazin: https://sentieridombra.it/2020/06/26/che-cosa-e-il-cinema-andre-bazin-e-la-riproduzione-della-realta-capitolo-i/

1930-1950: la guerra si avvicina, le dittature radicano il proprio potere con pervasivo terrore, gli Stati Uniti crescono sempre più come principale potenza economica del mondo. È questo un periodo in cui le sperimentazioni visive, rispetto agli anni precedenti, si fanno più rare: le avanguardie arrestano le proprie ricerche, Hollywood domina il mercato con il proprio stile e le proprie narrazioni. Sui due paesi più agguerriti di quel tempo si abbatte un conservatorismo censore che rallenta abissalmente le sperimentazioni artistiche: negli Stati Uniti viene promulgato il codice Hays, il quale limita la libertà visiva e narrativa dei registi ed impone il lieto fine ad ogni pellicola, e nell’Unione Sovietica si impone il realismo socialista, che abbatte ogni tipo di novità formale data dai precedenti registi.  

1942-1952: la guerra procede al suo epilogo, ventate di rinnovamento e svecchiamento aleggiano tra il popolo stanco degli orrori del conflitto e tra gli intellettuali che spingono verso una riformulazione della cultura nazionale. In Italia nasce così l’esperienza del neorealismo: un cinema capace di mostrare il paesaggio martoriato del paese, la povertà dilagante, la lotta tra oppressi ed oppressori che definisce l’intero sistema sociale. Si sviluppa inoltre un sistema produttivo capace di discostarsi dalle logiche finanziarie del mercato.  

Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini

1958-1963: gli anni della Nouvelle Vague francese, ed insieme ad essa dei molti movimenti cinematografici che imperversarono nel mondo. Il comun denominatore di queste cinematografie era la lotta per la sperimentazione di nuove modalità di racconto e visione che si affrancassero dalle logiche borghesi della produzione precedente. Le rivoluzioni sociali e politiche di questo periodo influenzano dunque il sistema culturale ed artistico, il quale si adegua alle spinte riformanti di un’intera società. 

1968-1970: gli anni delle produzioni underground e delle sperimentazioni avanguardistiche. Andy Wharol crea i suoi film monotematici e visivamente minimali; Jonas Mekas fonda una società di distribuzione slegata dalle grandi imprese; Stan Brakhage filma e sperimenta con la pellicola 16 mm.; Chantal Akerman e Sally Potter modificano il rapporto tra cinema e rappresentazione femminile, rifacendosi alle teorie di Laura Mulvey.  

1970-1977: si rompe il monopolio della Rai e nascono le emittenti e le radio libere. La controcultura prende piede nella misura in cui le possibilità di esprimersi da parte di un crescente numero di persone producono contenuti prima da allora impossibilitati ad attraversare i grandi network. Anche la possibilità del racconto visivo, da parte degli artisti, raggiunge vertici prima impensabili grazie alla dissolvenza della pellicola al nastro magnetico. Nasce così la videoarte, il cui termine fu per la prima volta adottato dai galleristi e dai mercanti d’arte newyorkesi, e che ben esprimeva l’innovativo connubio tra arte e tecnica (quest’ultima rappresentata dal video) da parte di questa nuova pratica artistica. Ma videoarte non fu l’unico neologismo adottato: Electronic Art fu il termine coniato da Nam June Paik, l’artista che può essere considerato l’iniziatore di questa forma artistica con la sua Exposition of Music-Electronic Television del 1963. Paik fu anche il primo che usò un videoregistratore nella mostra curata da Pontus Hulten al MOMA di New York dal nome emblematico: The machine as seen at the end of the mechanical age. Il primo videoregistratore portatile di successo fu il porta-pack della Sony; ma nel 1970 fu possibile manipolare il video attraverso un intervento diretto che ne modificasse i colori e le forme, per mezzo del VideoSynthesizer. Nello stesso anno i Vasulka con il Rutt-Etra Scan Processor ottengono immagini elettroniche analogiche senza doverle registrare con una videocamera. Andava nascendo una cinematografia che non limitava la propria fruizione alla sala cinematografica, ma che si allargava ai musei, alle gallerie, e alla televisione: il teologo cattolico Teilhard de Chardin coniò il termine videosfera, affermando che «la televisione è il software della Terra. La videosfera è la noosfera – l’intelligenza globale organizzata – trasformata all’interno del suo stato percettivo … la televisione è uno dei più rivoluzionari strumenti nell’intero spettro della tecnoanarchia». Sono queste parole che palesano la condotta politica e sociale dei videoartisti: liberare l’arte dalle sue ristrettezze economiche e produttive per affermarla e diffonderla attraverso la tecnologia, attraverso quella videosfera che tutti ci mette in comunicazione.  

Opera di Nam June Paik 

Per approfondire Nam June Paik: https://www.paikstudios.com/

1980-1990: con la caduta del muro di Berlino, i militari vendono Arphanet ai privati. Il suo difficile utilizzo viene risolto con l’invenzione del World Wide Web.  

1990-2000: nascono le prime utopie sulla coscienza collettiva promossa dalla Rete. I privati però si accaparrano gli spazi della ragnatela (è questo un altro termine, oltre a rete, per tradurre “web”. Questa doppia declinazione della parola, rende esplicita la natura ambivalente di Internet: un reticolato immenso e libero, ma anche una pericolosa ragnatela in cui si può finire intrappolati, soprattutto se si è privi di un’adeguata alfabetizzazione informatica) denaturando i concetti libertari che intorno ad essa andavano creandosi. Sono questi gli anni della multimedialità, della transmedialità e della transculturalità: in una società dove i linguaggi e le forme espressive dei vari media vanno ad interagire, amalgamarsi e confondersi nuotando insieme nel variegato calderone della rete, anche le culture fuoriescono dai propri confini nazionali influenzandosi a vicenda e navigando insieme in un cyberspazio dove le tecnologie e le forme di espressione adottate concorrono alla creazione di una piazza planetaria dove è possibile interagire e crescere. È ciò che McLuhan chiamava il “villaggio globale», un luogo di interconnessione e di comunicazione favorito dai medium elettrici, i quali finalmente avrebbero permesso l’apertura totale di ogni coscienza al mondo intero: «Oggi, dopo più di un secolo di tecnologia elettrica, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per quanto concerne il nostro pianeta».