Il neorealismo italiano, nel secondo dopoguerra, si fece promotore di una riforma estetica ed espressiva della settima arte, la cui forza di intenti era dettata da esigenze sia artistiche che sociali e politiche. Il movimento infatti poggiò le proprie basi ideologiche sui valori della Resistenza, ovvero sulla lotta anti nazifascista e sulla difesa della libertà e della democrazia. Il neorealismo riuscì a frantumare le modalità formali e produttive del regime fascista, presentando per la prima volta sugli schermi le macerie del conflitto bellico, il degrado di certi paesaggi italiani, la vita della misera gente.
La spinta riformatrice italiana si riverberò anche in altri paesi, inaugurando le grandi sperimentazioni degli anni ’60. Il cinema divenne parte integrante del ribollente clima politico di quegli anni, e si volle sempre più emancipare dai regimi estetici del passato, facendosi reale interprete delle contraddizioni sociali e dell’esistenza umana. Non solo la Nouvelle Vague francese diede importanti contribuiti all’arte visuale, ma anche Il Nuovo cinema tedesco, il Kitchen Sink inglese, il Cinema Novo brasiliano, ecc.
Nello stato cecoslovacco – poi separatosi in Repubblica Ceca e Slovacchia – pure si affermarono nuove urgenze artistiche, favorite dal fermento politico che imperversava nel paese. I registi vollero sempre più distaccarsi dalla retorica del realismo socialista staliniano, per affermare un cinema irriverente, cinico e satirico nei confronti del potere costituito comunista. Nacque così la Nová vlna, i cui maggiori autori furono Miloš Forman, Jiří Menzel, Ivan Passer e Věra Chytilová. La speranza data dalle nuove possibilità artistiche del cinema, insieme ad una ritrovata libertà sociale e politica, ebbero una battuta d’arresto con la fine della Primavera di Praga del 1968, quando le truppe di Leonìd Il’ìč Brèžnev invasero il paese, riportando la situazione alla normalità.
Uno dei film che meglio rappresentano quel breve, seppur intenso, periodo di ricerca ed innovazione, è sicuramente Marketa Lazarová (1967) di František Vláčil. La pellicola riscontrò un ottimo successo al momento della sua uscita, ma non ottenne un vero interesse da parte della critica straniera, la quale, successivamente alla rioccupazione sovietica della Cecoslovacchia, face cadere nell’oblio l’opera. Le motivazioni di questa dimenticanza furono dovute ad una generale incomprensione del film, da parte non solo del pubblico, ma anche gli specialisti del settore. Marketa Lazarová infatti, come afferma lo studioso Tom Gunning nel suo saggio Cinema of the Wolf: The Mystery of Marketa Lazarová, tende un’imboscata allo spettatore, catapultandolo in un ciclone di sensazioni contrastanti e destabilizzanti. Vláčil firma una delle opere più oscure, stratificate, complesse e vitali di tutta la storia del cinema. Il linguaggio audiovisivo non si fa invisibile, permettendo a chi guarda un’immedesimazione totale ed ipnotica nella storia, bensì viene esibito in tutte la sua ricchezza tecnica ed espressiva, facendosi fautore di un viaggio che prima di tutto vuole essere un affasciante riscoperta della bellezza originaria delle immagini e dei suoni.
Ma Marketa Lazarová è anche una discesa verso la brutalità dell’essere umano, una desolante rappresentazione della violenza insita nella natura. Il film è ambientato durante il Medioevo, intorno al tredicesimo secolo, e l’immersione in questo tempo passato ci viene data attraverso una narrazione fortemente ellittica e dispersiva, atta a conferire allo spettatore una confusione percettiva di rara potenza: il racconto della Storia non può essere lineare e progressivo, ma deve darsi all’elasticità di un tempo plasmato dalla memoria e dal ricordo.
In un periodo ancora diviso tra paganesimo e cattolicesimo, due clan rivali si scontrano per la supremazia dei propri diritti, perpetuando morte e disagio. Marketa Lazarová, giovane bionda dal viso limpido e solenne, destinata a divenire suora ma macchiatesi di peccato, sembra l’unica capace di allontanarsi dalle barbarie dei suoi simili, esternando una bontà che non sia figlia di nessun moralismo religioso.
L’eccitante dinamismo creativo che mette in scena il film ancora ci sorprende. La regia alterna soffocanti panoramiche e schiaccianti primi piani, a momenti di alta riflessione contemplativa. Proprio per la profondità dei suoi temi, e per la grande sperimentazione formale, Marketa Lazarová verrà scelto, da un sondaggio del 1998 promosso da critici e registi cechi e slovacchi, come il miglior film ceco mai girato.