Era il 2005 quando Melissa P., tratto dal romanzo di Melissa Panarello, veniva distribuito in Italia, accaparrandosi l’odio di tutta la critica cinematografica e venendo considerato dalla rivista Ciak come il peggior film dell’anno. Fu l’estero dunque ad accogliere meglio i due successivi lavori di Luca Guadagnino – Io sono l’amore (2009) e A Bigger Splash (2015) -, che otterranno entrambi un discreto successo negli Stati Uniti, ma che non verranno presi in considerazione dal pubblico nostrano.
Chiamami col tuo nome (2017) rappresenta per il regista palermitano una svolta artistica e commerciale; per merito della risonanza internazionale avuta dal film, Guadagnino finalmente rientra a testa alta nel nostro paese, reo di non aver creduto nelle sue abilità registiche, né mai di averle stimate.
Con Chiamami col tuo nome, il cui soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di André Anciman e la cui sceneggiatura è stata scritta da James Ivory, Guadagnino dirige un film dalla potenza espressiva delicata e sfuggente, approcciandosi al tema dell’omosessualità con vera sensibilità, non banalizzandolo, ma donando ad esso interessanti risvolti visivi e narrativi.
Qualche considerazione sull’opera.
Ci troviamo nelle campagne cremasche, durante la calda estate del 1983. Elio Perlaman (Timothée Chalamet) è un ragazzo di diciassette anni che vive in una lussuosa villa insieme alla famiglia. Il padre, professore di archeologia, è qui solito ospitare, ogni anno, un ragazzo straniero impegnato nella redazione della sua tesi di dottorato. È così che fa la sua comparsa Oliver (Armie Hammer), un americano ebreo di ventiquattro anni il cui aspetto fisico e le cui doti intellettive catturano subito l’attenzione delle ragazze del paese. Ma è soprattutto Elio che, silenziosamente e lentamente, comincia provare una crescente attrazione nei confronti del nuovo venuto. Attrazione corrisposta da Oliver, ma abilmente dissimulata e controllata da una maturità che si costringe ad essere virtuosa. Sguardi timidi e sfrontati, provocazioni maliziose, paure e risentimenti, non sono che l’incipit allo scoppiare di una focosa passione, dove il sesso diviene tenera scoperta di sé e del prossimo, e dove la congiunzione corporale non è che l’evidenza di una simbiosi spirituale.
L’amore che divampa tra i due ragazzi sembra abbandonare ogni sua determinazione storica e temporale, per darsi all’eterna bellezza del suo essere, nonché alla superiore dignità morale che fa sì che nasca e cresca. Certo, Elio ed Oliver dimostrano di aver timore delle loro rivelazioni, e di soffrire per le esplicite esternazioni omosessuali, riconducendo i loro silenzi impauriti ad un determinato periodo e contesto sociale. Ma le immobilità dovute agli orrori di false ideologie, vengono presto abbandonate per una libertà fisica e mentale che si concede al piacere dello stesso piacere, alla liberazione della propria incatenata volontà, in onore di una conoscenza che si fa scoperta sensuale della natura e dell’Eros.
Seppur vi sia una grande attenzione nella ricostruzione di quei dettagli che rimandano con precisione agli anni ’80, l’intera storia si rende senza tempo perché permeata dal fascino dell’antica Grecia. Guadagnino ci mostra, fin dai titoli di testa, fotografie inquadranti sculture greche, e riverbera la loro armonia formale, la loro possanza erotica, ai corpi dei protagonisti, soprattutto a quello muscoloso e virile di Oliver. In Grecia, la bellezza del corpo, nonché l’equilibrio tra le sue parti, era sinonimo di superiorità spirituale. Così anche nel film l’erotismo di un fisico teso ad accogliere e condividere il piacere, trova la sua verità immergendosi nei ritmi del flusso naturale, operando una fusione panica tra i corpi dei due partner.
Guadagnino si sofferma spesso, con la macchina da presa, ad inquadrare paesaggi naturali, che illuminati dalla luce di una torrida Estate ben riflettono le intense e calorose emozioni vissute dai due protagonisti. Essi amalgamano i loro desideri alla natura anche quando devono accettare l’abbandono, la fine della loro storia. Oliver, in una scena, citando Eraclito, afferma quanto le cose rimangano immutabili proprio perché tutto scorre, Pánta rheî. E così il loro amore ha il potere di rimanere incastonato nel ricordo e di rinnovare la sua esplosione di vita e verità, avvinto dal tumultuoso mutare del tutto.