La slapstick comedy fu un genere cinematografico molto in voga negli anni ’20 del secolo scorso. Esso fondava la propria comicità non sull’efficacia della battuta (il cinema era ancora muto), bensì sulla forza del linguaggio non verbale, sulla dinamicità fisica in rapporto all’ambiente circostante. Fu soprattutto Hollywood a scoprire i maggiori talenti della slapstick: i fratelli Marx per esempio, anche se attivi durante il cinema sonoro, furono scoperti dalla Paramount, e si servivano di gag fisiche per commedie dal sapore satirico ed anarchico. Essi tuttavia, per via dei loro fiaschi commerciali, furono sempre più bistrattati dalle case di produzione e passarono nel dimenticatoio. Personalità come Chaplin e Keaton invece, inizialmente scoperti dal regista Mack Sennett, divennero gradualmente gli effettivi autori delle proprie opere, così da avere una maggiore autonomia creativa.
Spesso si è discusso su quale dei due registi/attori fosse superiore all’altro, per tecniche utilizzate e tematiche espresse. Tralasciando l’inutile argomento concorrenziale, è indubbio che i due abbiano sviluppato, pur nello stesso genere comico, due differenti modalità di rappresentazione, e che queste differenze abbiano creato delle spaccature tra gli spettatori.
Chaplin tendeva a prediligere, rispetto alla tecnica cinematografica, l’espressività dell’attore, concentrando tutto sui suoi movimenti. Egli era inoltre solito conferire alle proprie storie uno stile patetico e romanzesco, incline al sentimentalismo, funzionale a una certa critica sociale che prendeva di mira il potere costituito e simpatizzava invece per gli umili.
Keaton invece si interessava molto alle potenzialità della macchina da presa, del montaggio, alle specificità spazio-temporali del mezzo cinematografico. La sua comicità era complessa e costruita, e le sue gag si servivano di laboriose architetture scenografiche e visive. Nel suo cinema corpo e spazio divengono davvero i protagonisti della storia, e il loro rapporto si fa sempre più assurdo e contraddittorio, quasi surreale. Keaton tramite la cinepresa decontestualizza gli oggetti, trasformandone l’apparenza e l’utilità, per poi iscriverli entro la carica eversiva della propria comicità, la quale proprio nello stravolgimento della realtà trova la sua originalità. Il mondo non è che un complesso di forze caotiche plasmabili dal volere anarchico di Keaton, il quale al moralismo oppone la fantasia, al sentimentalismo la dirompente energia di una logica esterna ad ogni ordine precostituito. Nel suo cinema, come diceva Carmelo Bene, non c’è “eroe positivo, né negativo, né Bene e Male”, e questa “acriticità” sfida la stessa realtà, la quale invece scivola, come Keaton nelle sue gag, in un mondo “completamente unto di sapone”.
Uno dei film più famosi ed emblematici dell’autore è The General (Come vinsi la guerra; 1927). Qui Keaton, durante il periodo della guerra di secessione, è il macchinista Johnnie Gray, innamorato della bella Annabelle Lee. Per dimostrarle il suo coraggio, egli si lancia all’inseguimento di una locomotiva che è stata catturata dai nordisti e dove l’amata si trova in ostaggio.
Il treno, più volte presente nel cinema hollywoodiano, non solo è il mezzo che simboleggia il moderno dinamismo della cinepresa e del cinema, ma anche la macchina che permette a Keaton di orchestrare le proprie minuziose gag, che consente un’ampia carrellata sul panorama sociale della guerra di secessione, senza che questo diventi protagonista della pellicola. Keaton non rappresenta, bensì trafora la realtà e ce ne rivela gli aspetti più insoliti e impossibili, e così la guerra, che rimane sullo sfondo, sembra anch’essa avvolta in un turbine di insensatezza. Johnnie intraprende la sua lotta personale contri i nordisti non per motivi ideologici o politici, ma per salvare la sua amata, per amore. Le pallottole, le divise, i saluti e le formalità militari sono soltanto idiozie che scivolano via in un mondo trasformabile, transitorio e proprio per questo assurdo.